La Cassazione ha stabilito che tale condotta costituisce, da parte del lavoratore, una violazione dei doveri di buona fede e correttezza idonea a legittimare il recesso del rapporto di lavoro per giusta causa.
Con la sentenza numero 5574/2016, depositata il 22 marzo, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa di un lavoratore che, del totale dei permessi concessi, ne aveva utilizzati solo il 17,5% per svolgere attività di assistenza al parente disabile. Per il tempo restante il dipendente si è occupato di faccende personali.
Tale condotta costituirebbe una vera e propria violazione dei doveri di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto di lavoro, tale da legittimare il recesso del datore di lavoro dal rapporto in essere.
Negli ultimi anni il fenomeno ha assunto una dimensione preoccupante. Un istituto ideato a scopi assistenziali ha subito una distorsione tale da tramutarlo, talvolta, in un “pacchetto” di ore a disposizione del dipendente a fini esclusivamente o prevalentemente personali.
La crescente sensibilità delle aziende – che sempre più spesso si rivolgono agli investigatori privati – sta facendo sì che tali irregolarità vengano alla luce. Così i dipendenti fraudolenti, a fronte di risultanze investigative giuridicamente ineccepibili, non possono che subire la conseguenza del licenziamento per giusta causa.
Pertanto, il ricorso da parte del datore di lavoro ad un’agenzia investigativa, oltre che legittimo, rappresenta l’unico mezzo per accertare la corretta fruizione dei permessi retribuiti. Un servizio investigativo finalizzato a documentare in maniera puntuale le attività e i movimenti del lavoratore durante le ore di permesso ex legge 104 può consentire di rilevare le irregolarità, spesso già presunte in azienda, nell’utilizzo del beneficio.
L’agenzia investigativa deve indicare espressamente nel mandato il nominativo di eventuali investigatori privati esterni.
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